NETWORK DI STUDIO
DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER

 

ALZHEIMER:
psicodinamica e neurofisiologia della perdita della memoria
Dott. Romeo Lucioni  

La prima scoperta in psicoanalisi è stata quella relativa alla memoria nell’isteria: questi pazienti non riescono ad elaborare i ricordi e, per altro, soffrono proiettando sul corpo le immagine dolorosamente fantastiche di ricordi patogeni.

Freud ha poi pensato la memoria come "funzione psichica", strutturando in seguito uno dei fondamenti della psicoanalisi per il quale lo psichismo (l’apparato psichico) è in se stesso una struttura della memoria.

La funzione memoria si trasforma in "questione delle memorie", evidenziando così il concetto di poter ricordare in maniere diverse.

Siamo di fronte al tema che riguarda la traccia mnesica e le rappresentazioni che risultano essere il vero principio dell’apparato psichico.

La traccia mnesica diventa il fondamento dell’alterazione del sistema: una volta elaborato il ricordo il "sistema", modificato dalla traccia e dalle rappresentazioni, non potrà più funzionare come prima, dovrà quindi tenere conto delle modificazioni stesse.

Da queste considerazioni si può desumere che:

  • l’apparato psichico non può strutturarsi, né sopravvivere senza cervello e/o senza cultura (espressione ampia e significativa dell’impianto mnesico);
  • nell’uomo la memoria é "multicomponenziale" e, nel suo complesso, necessita del coinvolgimento di tutto il cervello.

Oggi ormai non si può più parlare di "memoria" perché é stata individuata la molteplicità della memoria. M.J.Cohen e L.Squire (1980;1984) hanno evidenziato due processi denominati "memoria dichiarativa" e "memoria procedurale" mentre D.Schacker e P.Graf (1986) hanno distinto tra "memoria esplicita" e "memoria implicita" e quindi tra:

    • memoria esplicita, dichiarativa, cosciente
    • memoria implicita, procedurale, inconscia

distinzione che ha avuto i maggiori riconoscimenti tra i ricercatori.

N.J.Cohen e H.Eichenbaun (1994) hanno dimostrato che è possibile far dipendere o no l’apprendimento dall’ippocampo e, successivamente, insieme ad altri autori, hanno messo in evidenza che:

    • la memoria esplicita dichiarativa è mediata dal sistema del lobo temporale;
    • i sistemi di memoria implicita o procedurale sono molti.

Se alcune procedure di memoria richiedono l’ippocampo e altre no, è evidente che essa non è fenomeno unitario, ma ci sono diverse classi di memoria che risultano intessute in reti neuronali che connettono siti differenti.

Un sistema di memoria implicita è quella della memoria emotiva (paura) che è legata all’amigdala ed alle aree collegate.

Riconosciamo anche una:

  • memoria percettiva che viene acquisita attraverso i sensi
  • memoria polisensoriale dichiarativa, divisa in semantica ed episodica
  • memoria motoria o esecutiva.

Oggi ha assunto anche importanza la cosiddetta memoria lavoro (Alan Baddeley,1992) che risulta all’incirca quella che un tempo veniva chiamata memoria a breve termine nella quale l’aspetto procedurale risulta molto più solido di quello semantico.

La memoria lavoro risulta composta da una sorta di deposito temporaneo polivalente e da sette sistemi di deposito specializzato "… chiamati in causa soltando quando è necessario trattenere delle informazioni specifiche" (J.Le Doux,1998).

Ci sarebbero molti depositi temporanei, per lo più legati a specifiche funzioni e interconnessi che, caratterizzati da uno spazio di lavoro e da proprie funzioni esecutive, controllano le capacità operative non solo nell’ambito del qui e ora, ma anche riferite alle conoscenzee e alle esperienze.

Si è anche potuto verificare che mentre la memoria emotiva occupa le strutture della corteccia prefrontale mediale, nella memoria lavoro prende parte invece la corteccia prefrontale laterale che svolge, quindi, una delle funzioni cognitive più elevate.

La corteccia prefrontale laterale è connessa con vari sistemi sensoriali (visivi e uditivi), con gli altri sistemi neocorticali legati al linguaggio, con l’ippocampo e con le aree corticali della memoria a lungo termine, così che si può indicare come punto ideale per la funzione di memoria lavoro polivalente.

 

D. Perani et al.(1993) riportano una efficace rappresentazione dei differenti sistemi delle memorie:

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Rappresentazione delle immagini laterali, mesiali ed assiali del cervello raffiguranti la distribuzione dei differenti sistemi della memoria nelle strutture cerebrali.

Asterischi: memoria a breve termine Triangoli: memoria episodica

Quadrati: memoria semantica Cerchi: memoria implicita (apprendimento di abilità) 

 

Facilitazione

L’attenzione e la partecipazione emotiva facilitano enormemente la fissazione mnesica e ci sono ricordi che non possono più essere rimossi; possiamo ben dire che il rafforzamento dovuto all’eccitazione può privilegiare alcuni sistemi a spese di altri.

Anche l’effetto degli stress è molto importante (Robert Sopolsky, …) tanto che si è dimostrato di poter provocare anche una degenerazione pronunciata dell’ippocampo e, quindi, alterare le sue funzioni mnesiche.

 

Blocco e inibizione

Ancora non è del tutto chiaro il meccanismo che controlla la memoria attraverso "circuiti" (?) inibitori, ma possiamo riportare diverse ed importanti osservazioni ("Ivan Izquierdo" – reportage):

  • L’amigdala ha un ruolo importante in quanto, quando è iperstimolata o quando è inibita, cancella le memorie; o meglio, impedisce che si formino.

Si potrebbe dire che la memoria, per formarsi, ha bisogno di un gradiente "ottimale" di stimolazione emotiva; se questo invece è troppo alto o troppo basso, la traccia mnesica non si forma: un evento se poco significativo o se eccessivamente "orribile", viene cancellato.

  • Nell’ambito dell’inibizione si osserva che vengono cancellati i dettagli di un evento, mentre viene conservato il nucleo drammatico e si può sottolineare, come fatto importante, che vengono cancellati i dettagli che non sono accompagnati da una carica emotiva. Per esempio, di un incontro romantico resta l’impronta dell’emozione e magari scompaiono le sembianze, i tratti fisici, della persona che ne era stata la motivazione.
  • Ci sono i casi dell’amnesia post-traumatica nei quali sembra essere l’ACTH ad intervenire. Questo ormone, per azione diretta o attraverso la liberazione di corticoidi, di adrenalina, di neradrenalina periferica, di vasopressina, agisce sull’amigdala (nel caso dei corticoidi anche attraverso l’ippocampo) nei momenti iniziali della formazione del ricordo.

Quando il livello ormonale è troppo basso o è eccessivamente alto, la memoria non viene registrata; anche in questo caso, sembra necessario un gradiente medio e/o moderato di stimolazione.

  • Interessante è anche il caso del dolore da parto che viene dimenticato, o molto affievolito, dall’emozione data dal viso del figlio appena nato. Sarebbe un caso di ipersignificazione che impedisce e rende subliminali gli stimoli "accessori" svalorizzanti.
  • Anche le endorfine giocano un ruolo importante che per un lato risulta analgesico e, per altro, anestetico. Vengono riportati esperimenti sui ratti nei quali la liberazione, in quantità elevata, di beta-endorfina porta a dimenticare parti importanti di ciò che accade nell’ambito sperimentale.

 

  • Vale la pena ricordare anche le conclusioni di I.Lucioni e L. Stortini Sabor (1998), che sottolineano l’impostazione psicosomatica che, corroborata dalle esperienze cliniche, sostiene l’idea di facilitazione e di fissazione attraverso una sopra-significazione e non per la via della cancellazione.

Secondo questa teoria, la memoria primaria non tende ad essere cancellata e ciò che si dimentica dipende dalla modulazione di sistemi gerarchizzati che influiscono sulle tracce mnesiche più antiche.

La maggioranza degli Autori sono d’accordo nel riconoscere una riduzione delle capacità mnesiche recenti nell’anziano normale ed una migliore attitudine a ricordare i fatti lontani.

Per altro lato è ancora molto discusso il meccanismo che sottende a questa perdita, così:

  1. per alcuni ricercatori si deve ad un processo biologico, giacché nell’anziano normale si riscontra un certo grado di atrofia cerebrale, alcune lesioni microscopiche e, soprattutto, placche senili che interessano le strutture neurofisiologiche che intervengono in questa specifica funzione;
  2. per altri studiosi il meccanismo è psicogeno e deve essere messo in rapporto con una riduzione della energia psichica in generale, espressa come energia ioica. Seguendo il pensiero di Hartman la memoria è una delle funzioni autonome dell’Io e ha una finalità adattiva;
  3. anche l’esplorazione della realtà circostante, che è legata specialmente alla memoria recente, è una caratteristica dell’Io e, quando il recente appare minaccioso, possiamo prevedere un ritirarsi verso il passato come finalità protettiva;
  4. la reminiscenza del passato (Mc Mahon e Rhudick,1973), vale a dire l’atto di pensare le proprie esperienze e raccontarle, esercita un effetto adattivo sulla vecchiaia (sia ricordando i fatti e gli accadimenti (esterni) come i vissuti (interni)) ed, inoltre, aumenta l’autostima messa in pericolo dal riconoscimento della flessione delle capacità fisiche ed intellettive;
  5. in generale le emozioni facilitano i ricordi, così, nell’anziano, il passato conserva in sé una maggiore forze emotiva. Va anche ricordato che la nostra società valorizza i successi che, ancora una volta, per l’anziano, sottendono alle esperienze del passato ed anche strutturano un senso di longevità e di perpetuità;
  6. assieme alle modificazioni della memoria troviamo frequentemente anche riduzione dell’attenzione e della concentrazione che, a loro volta, influenzano cambiamenti della vigilanza e della motivazione.

Queste osservazioni possono essere riferite ad un atteggiamento narcisistico sotteso ad un’immagine ideale con soddisfazione e orgoglio per ciò che si è saputo fare ed anche per il fatto di ricordarlo e di raccontarlo con precisione.

La centralizzazione sul Sé può delinearsi come incremento della libido sul soggetto che quindi svalorizza ed inaridisce l’oggetto, l’altro, il giovane e l’attuale: svalorizzazione del presente e glorificazione del passato (Miguel Krassoievitch, 1993).

Anche l’attività della fantasia risulta caratteristica nell’anziano, dal momento che introduce i temi relazionati con il pericolo di malattie felicemente superate, così da dare alla riminiscenza un certo carattere di superiorità, di infallibilità, di perseveranza: sinonimi di perpetuità (allontanamento-negazione della morte).

Il modello psicodinamico ed anche quello legato ai principi della psicosomatica (Pierre Marty,1998) prevedono, per l’Alzheimer e per la demenza in generale, una particolare integrazione della perdita della memoria.

Recenti studi (Jaime Pecheny e Alicia Kabanchic, dati non pubblicati) hanno messo in evidenza come nell’Alzheimer si riscontri, in un frequenza che supera il 90% dei casi, un fatto esperienziale traumatico che anticipa di 1-2 anni l’inizio della sintomatologia dementigena.

Questo fatto traumatico non è del tipo della colpa, come si osserva nella depressione, ma investe il soggetto in maniera globale, minandone l’autostima ed il senso di sé.

Svariati sono i fatti registrati come momenti scatenenti o "memorie scatenanti":

  • aver subito un furto o tentativo di furto nella propria casa, vissuta come inviolabile;
  • aver dovuto sopportare una accusa infamante o le conseguenze disastrose di un crac finanziario;
  • aver vissuto l’esperienza di una perdita improvvisa e imprevista (incidente) di qualche famigliare stretto (marito, moglie, figlio);
  • aver perso un "ruolo" ambito e ottenuto con grandi sacrifici e che rappresentava una vera "conquista" personale ed il fondamento di una speciale autivalorizzazione;
  • aver subito il fatto traumatico che, funzionando come shock, non sia stato possibile elaborare nello schema del rapporto con la colpa (messa dentro o fuori di sé).

Nell’analisi di questi casi ci troviamo sempre di fronte ad un tentativo ossessivo di liberarsi del ricordo traumatico e/o patologico che però continua a fungere da nucleo persecutorio incancellabile; si osserva come il soggetto, nel suo tentativo compulsivo di annullare quel ricordo, riesca a dimenticare tutto il resto, ma l’evento critico resta immutabile e inattaccabile.

Joseph Le Doux (1998) ricorda come una lesione della corteccia prefrontale mediale inibisce le risposte condizionate di paura, ma non cancella i ricordi impliciti sottostanti e conclude: "… i ricordi emotivi non sono cancellati dall’estinzione, ma soltanto tenuti a bada; come Lazzaro, i ricordi estinti possono risuscitare".

Donald Hebb (1975) parla di "assemblee di cellule" che trattengono il ricordo anche quando questo non viene più attivato o non vengono suscitate risposte comportamentali associate (per es. fobiche).

Questa supposizione giustificherebbe la creazione di apprendimenti resistenti all’estinzione.

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Questi neuroni interconnessi sono chiamati "assemblea di cellule" che, all’interno dell’amigdala o tra l’amigdala e le aree corticali, potrebbero costituire un aspetto importante della memoria implicita a lungo termine, resistente all’estinzione, creata dal condizionamento alla paura.

Ancora Le Doux (1998) dice: "I ricordi inconsci di paura, stabiliti attraverso l’amigdala, sembrano impressi a fuoco nel cervello: è probabile che ci accompagnino per tutta la vita". Parla anche di due circuiti separati che intervengono nel condizionamento: uno corticale cosciente; l’altro sottocorticale che, essendo incapace di distinzioni sottili, produrrebbe un apprendimento che si diffonde più facilmente di altri e che, inoltre, risulterebbe più difficile da tenere sotto controllo proprio perché inconscio.

Importanti studi (Pripitano,1989; Sperry et al.,1979) sono stati condotti per chiarire il funzionamento cerebrale in correlazione con la capacità di interpretare il significato degli stimoli (localizzazione nei lobi frontali e temporali) e la dimensione psico-biologica del Senso di Sé (presente in entrambi gli emisferi cerebrali) (Glel O.Gabbord,1992).

La funzione psichica sottesa alla denominazione di Senso di Sé, o rappresentazione di Sé, è qualcosa di complesso che aiuta il soggetto a mantenere la coesione di sé e la stima di sé. Secondo Hins Kohut (1984) la persona, nella sua dimensione psichica, ha un bisogno profondo di mantenere un soggettivo senso di benessere che risponde a bisogni narcisistici di rispecchiamento e di idealizzazione.

In contrapposizione a Freud (1914), che vedeva nell’emergere delle tendenze narcisistiche, attraverso un processo di "maturazione", il raggiungimento di una preoccupazione per i bisogni altrui, Kohut (1971) sostiene che i bisogni narcisistici permangono per tutta la vita e permeano tutta la personalità.

Seguendo questa linea di pensiero, Kohut ha descritto il Sé bipolare (oggetto grandioso nel quale si riconosce la perfezione e l’immagine genitoriale idealizzata) e poi (1984) il Sé tripolare nel quale viene aggiunto un polo formato dai bisogni dell’unità combinata oggetto sé.

Questi bisogni fusionali si sono evidenziati come caratteristici dei processi mentali primitivi e nella formazione di un Io-primitivo o proto-Io (Lucioni, 1998) ed anche necessari per far nascere quel senso di unità, di singolarità e di realtà (Lucioni,199…) che sono necessari per il riconoscimento non solo degli oggetti interni, ma anche degli "oggetti del mondo".

La coesione del Sé e l’amore oggettuale sono l’espressione fondante del senso di Sé (Kuhut,1977) che, per altro, risulta anche essere l’elemento strutturante della personalità intera.

Kohut (1984) ribadisce l’impossibilità di separare il dall’oggetto-sé che servono per mantenere empaticamente la stima di noi stessi e la coesione psichica di ogni individuo in un "Sé sovraordinato", costellazione psichica primaria, centro dell’esperienza e dell’iniziativa e delle istanze volitivo-motivazionali (Curtis,1985).

Kohut, in contrapposizione agli psicologi dell’Io, attribuì poca importanza al complesso di Edipo ed alle ansie di castrazione nella costituzione della personalità; per la psicologia del Sé è "l’angoscia di disintegrazione" (paura che il proprio Sé possa frammentarsi di fronte a risposte inadeguate dell’oggetto-sé) che spinge a mantenere e a ristabilire la coesione e l’armonia del Sé.

La destrutturazione del Sé equivale ad una condizione di "morte psicologica" (Baker, Baker, 1987) che si osserva ad esempio nell’abuso di sostanze stupefacenti, nella promiscuità sessuale, nelle perversioni, eccetera; mentre le manifestazioni di un conflitto nevrotico sottendono all’angoscia di castrazione.

Riprendendo queste considerazioni sulla coesione del sé e sull’importanza di questa nel mantenere il senso di funzionamento armonico della psiche, si è trovato un preciso aggancio con le osservazioni fatte in molti casi di pazienti affetti da Malattia di Alzheimer.

Jaime Pecheny e Alicia Kabanchik (1998, dati non pubblicati) hanno evidenziato come in moltissimi casi si può scoprire un fatto critico, avvenuto un anno o due prima della comparsa dei primi segni della malattia. Questo stress incide profondamente nella struttura psichica, non viene elaborato nello schema della depressione, ma, al contrario intacca il senso di sé ed il senso di valere.

Anche nella nostra casistica si sono potuti evidenziare casi simili:

  • un furto o tentativo di furto che ha condizionato profondamente il comportamento del paziente che ha cominciato a non voler più uscire di casa e ad essere ossessionato dal pericolo di poter esssere nuovamente "derubato";
  • un caso di perdita di senso di valere lungamente cercato e perso a causa di un infarto e del conseguente pensionamento anticipato;
  • la morte di un congiunto stretto che è stato scoperto rantolante dal futuro paziente che rimase turbato da un senso di "impossibilità";
  • la reazione imperiosa a problemi conseguenti una operazione di emorroidi che ha portato a ipervalorizzare in maniera conflittiva (perdita della dignità) la sfera genito-anale;
  • la morte di un marito avvenuta tragicamente ed in forma imprevista ed accidentale al termine di una vacanza-viaggio e che ha lasciato scossa e sconvolta la moglie che, da quel giorno, ha cominciato a dare segni di perdita della memoria e di deficit cognitivo-deduttivi;
  • l’esperienza perturbante di una signora che, rimasta vedova con un discreto patrimonio, cede alle lusinghe di un filibustiere che la raggira e le sottrae tutto il patrimonio.

Il nucleo traumatico successivamente viene liberato dai corollari temporo-spaziali qualificanti per tradursi in una memoria di esperienza angosciante, intima e distruttiva.

Questa che con Kohut potremmo chiamare angoscia di disintegrazione si può anche riferire ad una più pregnante angoscia di morte che, vissuta inizialmente come inevitabile ed incontenibile, viene percepita come un disturbo del cervello: tremore cerebrale, impossibilità a modulare le funzioni cerebrali, senso di sprofondamento in un incommensurabile buco nero.

Il nucleo-mnesico-perturbatorio risulta inattaccabile dai meccanismi psichici abitualmente messi in gioco dai sistemi adattivi, per cui l’unica via di scampo risulta essere quella della autodistruzione psichica, identificata in una massiccia perdita della memoria.

In forma incredibilmente contradittoria il soggetto riesce a rimuovere ogni traccia mnesica, arrivando a perdere anche le immagini più frequenti ed affettivamente valide dei congiunti più stretti ed anche di sé. Il paziente arriva a non ricordare più nemmeno il proprio nome, perde le funzioni linguistiche, motorie e sensoriali (sembra non ricordare più neppure le sequenze operative dei comportamenti automatici appresi), disorganizza le capacità cognitivo-deduttive, eppure non riesce a liberarsi del nucleo traumatico che ha colpito profondamente il senso di sé e l’autostima.

Queste osservazioni ci portano ad alcune considerazioni particolarmente interessanti.

Prima di tutto va sottolineato che questo meccanismo patogenetico interessa solamente le persone anziane –i vecchi, per dirla con Messy- per lo più al di sopra dei 60 anni. Si potrebbe pensare ad una concomitanza di due fattori che tendono entrambi a mettere in pericolo il senso di sé e l’autostima.

Se consideriamo l’età di 60 anni come limite per la definizione della vecchiaia, possiamo tenere conto dei processi psichici che accompagnano poderosamente le perdite caratteristiche di questa tappa della vita. Con Messy (…..) possiamo parlare di perdita del senso dell’invecchiamento (che inizia con la nascita e che continua per tutta la vita come modello di perdita e di superamento verso una successiva tappa esistenziale) sostituito da una vera e propria "vecchiaia", intesa come stato e come modello di vita cristallizzato.

È nella vecchiaia, appunto, che assumono un particolare significato i deficit biologico-funzionali (incanutimento dei capelli, perdita della elasticità e assottigliamento della cute, riduzione delle secrezioni, perdita della forza muscolare e genitale, affievolimento sensoriale, rallentamento delle reazioni psicomotorie, difficoltà nel recupero funzionale, affievolimento della memoria di rievocazione, eccetera).

Questi sintomi si accompagnano a fastidiosi sensi di perdita e di inadeguatezza che creano modelli di autosvalorizzazione, i quali hanno un preciso riconoscimento nella struttura dei valori che risponde ed è condizionata da un senso di "verità" caratteristica di una realtà socioculturale. Nella realtà postmoderna delle aree geografiche capitalistico-industriali, il vecchio, emarginato nel suo involucro riduttivo di "vecchio saggio", ha perso ogni valore nella funzione prassico-decisionale e viene minimizzato e pauperizzato a tal punto da perdere ogni connotato di validità e , quindi, identificato come oggetto patologico rifiutato.

La nostra società, dominata dalla velocità e dal cambiamento, rifiuta il vecchio sostituendolo con l’immagine dell’eterna giovinezza, dell’efficienza e della "bellezza", pilastri che sottendono al credo filosofico dell’antica Grecia che a queste qualità fa combaciare anche quelle del giusto, del vero e del santo. CONTINUAZIONE


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