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ALZHEIMER,
DEPRESSIONE e SINDROME CATASTROFE Romeo Lucioni Nel riferimento alla sintomatologia depressiva, distimica o disforica, si trova, nella malattia di Alzheimer, una dinamica trasformatrice che fa pensare a diverse modalità di reazione di fronte allimpatto sulla coscienza delle disfunzioni causate dalle lesioni neuronali.
Con il proseguire della malattia, i disturbi psico-mentali investono maggiormente la sfera cognitivo-intellettiva e si accentua lestraneità che però comincia ad assumere una valenza catastrofica. Le gravi difficoltà del linguaggio (rivestono il problema della rievocazione della parola e, più tardi, anche la perdita del valore semantico) o la sua scomparsa (sostituito da neologismi) presuppongono diverse reazioni:
Si osserva anche una consapevolezza di perdita delle potenzialità cognitivo-ragionative che induce un vissuto di grave destrutturazione della propria immagine interiore. Questa percezione catastrofica è sicuramente importante nel determinismo del significato simbolico della malattia, dal momento che supera le valenze riflessive proprio perché attinge energia nel mondo empatico-istintivo. Sarebbe come dire che si è verificato qualcosa di irreparabile del quale però non si riesce a capirne il significato e a misurarne con sicurezza le dimensioni. Gli occhi attoniti dei pazienti Alzheimer sembrano dare forma a questa "sindrome da catastrofe". Le osservazioni di precedenti lavori (R.Lucioni e G. Nappi; "Psicodinamica e demenza",1996; R. Lucioni, "Alzheimer e funzione simboloca della tembae della solitudine", 1997) ci hanno portato ad evidenziare come l IO si destrutturi se perde i propri oggetti interni e, in questa ottica, come lAlzheimer sia una malattia legata ad un profondo "disturbo dellidentità". Quando parliamo di "oggetto interno" non dobbiamo necessariamente rappresentarlo come una figura determinata (per es. la madre, la moglie, il marito, ecc.) perché , come "oggetto virtuale" (vedi R. Lucioni, "Le relazioni oggettuali primitive che contribuiscono alla formazione della figura genitoriale e allintegrazione dell IO",1995) può anche essere rappresentato dal proprio corpo (intero o in parte), espresso magari come capacità o come professionalità, come onore, ecc. Se però la perdita delloggetto è capace di destrutturare l IO è evidente che rappresenta un "fulcro" o "fondamento essenziale" per mantenere "lidentità". Lesperienza traumatica che acquista i caratteri della "catastrofe", cioè di un evento straordinario che altera lordine abituale e caratteristico della struttura personologica e del "ruolo" individuale, si trasforma in "catastrofe psichica" con le sue conseguenze di ordine metapsicologico. Tenendo conto di queste osservazioni la demenza, nella sua drammaticità, acquista anche caratteri misterici e la lettura psicodinamica ci porta a dare un significato preciso alla sintomatologia che risulta frequente allosservazione clinica. Lo svuotamento o pauperizzazione dell IO genera una tensione interna angosciante che muove ad un tentativo riparatore: emergono modelli primitivi di adesione e di simbiosi con il "seno" che si trasforma in un"oggetto damore cannibalico", aggressivo e distruttivo (R. Lucioni, "Alzheimer, come sindrome della tomba e della solitudine", 1997). Ladesione risulta un elemento utile per il controllo delle angosce derivate dalla perdita, ma, per altro, stimola il sorgere di sensi di ribellione e desideri di "libertà" che sottendono a comportamenti inadeguati, di opposizione, di ribellione e di aggressività. Il paradigma che lega la depressione, la sindrome catastrofe e lAlzheimer che, in ultima analisi, coinvolge l IO ed il senso di esistere, lautoidentificazione e la perdita, seguendo il pensiero di Leòn Grinberg ("Colpa e depressione",1990) e la teoria kleiniana del lutto e della dipendenza dalloggetto, si struttura una particolare dinamica che dà valore ermeneutico ad alcune osservazioni. Come si è detto, la malattia di Alzheimer può essere considerata caratterizzata dalla destrutturazione dell IO e, come catastrofe, dalla perdita dellidentità. Franco Fornari, nellintroduzione al libro di Grinberg (1990), descrive puntualmente come " la sopravvivenza stessa sembra diventare il codice minimo di identificazione e questo prefigura un oggetto come identificazione". In un precedente lavoro (R.Lucioni,1995) è stata messa in luce la necessità di instaurare un "primitivo oggetto unico", "loggetto genitoriale", come modello perché l IO possa strutturare non solo una identità, ma anche la sopravvivenza del Sé e dellOggetto che rappresenta la relazione del soggetto con il suo ambiente e, quindi, il senso di realtà. Se prendiamo atto di queste considerazioni, nellAlzheimer la "sindrome catastrofica", conducendo alla perdita dellidentità (che risulta "loggetto comune di identificazione"), porta alla perdita dellintegrazione tra IO e Sé, tra percepito e reale ed anche tra essere e non essere. Venuto meno il progetto totalizzante dell IO, capace di far emergere i processi di identificazione (auto ed etero) è evidente che il soggetto si trovi in una specie di "limbo" nel quale tutti gli oggetti risultano indefinibili, contradittori e indecifrabili. A questo punto diventano chiari i meccanismi mentali che sottendono alla malattia:
Il quadro Alzheimer che può essere sempre evidenziato risulta però per lo più contradittorio proprio perché la disgregazione egoica porta ad una frammentazione della personalità che, con le sue parti disperse, oscilla in direzioni opposte, mai convergenti. Oserviamo quindi susseguirsi di momenti psicopatologici diversi e contradittori; per esempio:
Il danno che soffre l IO nella "situazione catastrofica" dà luogo a compiersi una vera e propria "atrofia dell IO" che sfocerà in una situazione variabile a seconda delle funzioni integrative residue, delle capcità di stabilire contatti con il reale, delle riserve affettive capci di salvaguardare anche parti di oggetti interni riferiti al Sé e allAltro, della natura e dalla quantità delle funzioni ioiche fatte rivivere da eventuali psicoterapie e da circostanze favorevoli. Queste osservazioni ri-conducono allimportanza delle nostre esperienze fatte con la "terapia di integrazione emotivo affettiva - E.I.T.", con la quale appunto si mira a ristrutturare valenze motorie, emotive, affettive e cognitive (R.Lucioni e G.Nappi, "Alzheimer E.I.T.; una terapia possibile",1998). Questo modello psicoterapeutico si configura, quindi, come essenziale per tentare un recupero ed un processo di riabilitazione nella malattia di Alzheimer, da accompagnare, eventualmente, con le terapie farmacologiche che stanno portando a risultati interessanti e stimolanti. Secondo l O.M.S. nelle prime decadi del prossimo secolo, il 50% delle persone al di sopra degli 85 anni dovrebbe soffrire di disturbi intellettivi ed emotivi caratteristici della malattia di Alzheimer. Se si pensa che lallungamento della vita è statisticamente ancora in crescita e che laspettativa di vita dovrebbe superare i cento anni, le prospettive sulla demenza cominciano proprio a far paura. Proprio sulla base di queste osservazioni, in tutto il Mondo si stanno cercando metodi per porre un freno a questa malattia che ormai ha assunto i caratteri di una epidemia silente. 4 La nostra esperienza in questo campo ha portato a sperimentare la E.I.T. (terapia di integrazione emotivo-affettiva) che ha veramente offerto dati molto interessanti. Questo modello di psicoterapia senso-motoria ed emotivo-espressiva si prospetta come stimolante per conseguire il miglioramente degli indici che coinvolgono la motricità, il contenimento emotivo ed il ripristino psico-affettivo e delle capacità attentivo-deduttive, mnestiche e cognitive che si accompagnano a comportamenti più adeguati e più consoni con la vita di relazione. 4 Sul piano farmacologico va sottolineata lesperienza condotta su 14 pazienti Alzheimer da medici della Facultad de Medicina e dellHospital Francés di Buenos Aires con luso di alte dosi di melatonina. Questi dati sono stati da noi confermati in vari casi, nella totalità dei quali si è osservata la ripresa della capacità cognitivo-deduttive, il miglioramento della condotta (atteggiamenti oppositivi ed aggressivi) e della relazione interpersonale. Va sottolineato ancora una volta (vedi anche R.Lucioni e G.Nappi,1998) che il miglioramento nei casi di malattia di Alzheimer comporta sempre un certo peggioramento della reazioni emotive ed affettive che riteniamo dovuto al ripristino relativo di funzioni neuro-biologiche con conseguente presa di coscienza parziale e/o relativa del proprio stato di malattia e di deficit e con lo scatenamento di tutte quelle reazioni psico-mentali che, come visto nel presente lavoro, determinano quadri di angoscia, di depressione e di confabulazione delirante che, a nostro modo di vedere, debbono essere contenuti dallo specialista attraverso un adeguato supporto degli interventi dei caregivers e mai con una sedazione intensa. HOME PAGE ALZHEIMER 1°
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