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Mario Bernasconi ritrae Irma a Sala Capriasca




Bassorilievo di Mario Bernasconi,
Casa Franchini, Lugano


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Ritratto di Cornelia Forster
eseguito da Mario Bernasconi

Mario Bernasconi a Sala Capriasca.
Articolo di Pericle Buzzi, del 1929

"Ai piedi del Monte Santa Maria, oggi assai più conosciuto con il nome di monte Bigorio, e sul quale a mezza costa, nel folto del castagneto, si adagia severo e solitario il convento omonimo, tu trovi il villaggio di Sala Capriasca austero, quasi guardingo dietro le sue porte pressoché intatte, che subito ti richiama alla memoria la mistica Umbria anche se i panorami non sono cosi vasti e intorno non cresce l'argenteo olivo.
Ma le case senza intonaco, le scalette che conducono alle porte ad arco, i cortili coi pozzi, le logge, i vicoletti sono gli stessi; e la popolazione bella di sangue e di portamento dice di una razza forte e orgogliosa.
Precisamente in questo villaggio, dalla parte che digrada ripida verso la valle del Vedeggio, nell'ultima casa vive il nostro artista.
La casa è antica.
Porta i segni evidenti dei suoi anni e purtroppo di un lungo abbandono; ma è sempre bella, quasi maestosa.
Fu dimora di patrizi. E nella corte, sopra il doppio portico che protegge e decora l'ingresso vi è disegnato a graffito lo stemma patrizio.
Chi entra si trova in un atrio con il soffitto a cassettoni nero per antichità. Il pavimento è in lastroni di granito.
Ambiente simpaticamente severo, ingombro, in un piacevole disordine, di opere dell'artista, di oggetti antichi, di quadri, di riviste, di vasi, di fiori e di arnesi agricoli:
Prima ancora che il desiderio ti guidi a visitare le stanze che danno su questo atrio e nelle quali si intravedono altre opere sue
una calda luce ti invita alla porta che mette sul giardino.
Troverai prima un piccolo terrazzo che domina la valle.
Qui potrai godere un panorama di monti, di colline, di pianure, di prati, di campi, di vigne, di boschi, di torrentelli, di fiumi, di laghi, poi di casolari, di ville, di villaggi, di torri in un continuo contrasto di luci e di ombre, nelle quali i colori brillano o si smorzano e tutto forma uno dei più chiari e variati paesaggi del luganese, aperto sul fondo verso la pianura lombarda dove lo sguardo e la mente si riposano.
Vecchia e cara casa ticinese, cadente si, ma sempre salda in piedi, perché le mura sono grosse e di buona calce e il tetto di pietre.
E se ti affaccerai alle sue finestre, in questo autunno dorato, l'odore penetrante di uva matura, i cui grappoli ne incorniciano le aperture, ti allargherà il respiro, ti metterà la gioia in corpo e tanta e' la quiete che il ronzio dell'ape che vola da girasole in girasole basterà a distrarti quasi fosse una grande orchestra.
Le voci poi dei contadini che lavorano nei campi, il lieto martellare del falciatore che affila la falce, il canto di qualche gallo, le ore che battono al campanile di Ponte, il frequente gaio squillare della campanella del convento ti diranno di tutta la vita che circonda la casa: pace, lavoro e preghiera.
In questa serenità l'artista lavora, chiuso in una stanzona rustica tutta luce e allegrezza.
Gli posa ora davanti Bianca.
Una bianca fanciulla dai lineamenti delicati e regolari.
Il viso d'un ovale perfetto, gli occhi azzurri, ed i capelli biondo chiaro inanellati dicono le sue origini: l'incrocio di due razze robuste.
I pollici dell'artista lavorano con febbrile attività e la terra da massa informe, quasi di improvviso da i lineamenti del modello, la espressione sua dolce, lo spirito tranquillo.
Egli lavora a piedi scalzi. Si direbbe senta il bisogno di appoggiarsi ben saldo alla terra, come se un peso richiedesse da lui sforzo di spalle e braccia.
Invece dalle sue mani esce una figurina tutta grazia, leggerezza e leggiadria.
In un angolo dello studio esprime il suo dolore una bella figura di donna inginocchiata, le mani abbandonate e congiunte in atto di preghiera, larga e vigorosa opera plastica nobilmente severa.
E accanto le fa piacevole contrasto una statuetta di donna scolpita nel legno, di carezzevoli e seducenti forme che ricordano la grazia dei maestri del quattrocento.
La sua casa è sempre aperta al visitatore.
Questi vicino ad un mucchio di pannocchie o di mele rossigne vi può ammirare la statuina in terracotta dalle forme svelte che sembra voglia beffarsi, nella sua posa sbarazzina, di ogni supponenza morale.
Tra i vasi, libri, busti, le statuette e gli oggetti più disparati non mancano le statue dalle linee severe che in atteggiamento ieratico vogliono significare lo sforzo dell'artista desideroso di fissare la forma umana in attitudini che abbiano a confermare che l'uomo non è solo materia, ma in lui, ciò che più vale è lo spirito.
Sui davanzali, sui parapetti, ovunque vasi di gerani, di garofani, di minuscoli e deformi cactus si alternano con busti e statuine.
Il giardino sottostante e' tutta una platea di astri dai colori accesi e vivaci sui quali dominano le macchie gialle dei girasoli.
E intorno alle mura della casa i cactus e le agave confermano che siamo nel paese del sole.
Questa nota di gentilezza dice subito che accanto all'uomo artista vive e ne conforta lo spirito una delicatissima figura di donna venuta a lui dal settentrione ricca di coltura e di sensibilità artistica, in cerca di amore, di sole e di tepore.
Tipico e simpatico esempio di donna germanica, innamoratissima della nostra latinità che dimostra sempre di saperne apprezzare meglio di noi le doti che sa mettere in bella evidenza.
In questo ambiente caratteristico, l'operosità appassionata di Mario Bernasconi pensa e crea le sue opere.
Egli poi domanda poco per se'.
Invece da' tutto il suo fervore per l'arte.
Scopri' questo nido abbandonato e lo riassettò senza sciuparlo, per crearsi un ambiente confacente al suo spirito, al suo stile' all sua originalità e nel quale poter lavorare in pieno raccoglimento.
Qui può meditare sul vero senza allontanarsi dal dovere di foggiarlo con ideale purezza.
E anche conformandosi alla modernità dei tempi, ricordarsi che nell'arte e' come della casa antica, della quale sempre sopravvivono le parti robuste, costruite a regola d'arte con materiale buono e con nobiltà di intento da maestri provetti.
Qui dove la tradizione della nostra gente contrasta ancora con spontanea vigoria il terreno alla incalzante modernità decadente, e' ancora l'ambiente per lui più adatto, perché egli possa creare quelle opere alle quali aspira la sua sana spiritualità."

Pericle Buzzi