Socrate morente di Markus Antokolski

Socrate morente di Markus Antokolski
al Parco Ciani di Lugano


La scultura realizzata dallo scultore russo Mark Matwejewitsch Antokolski raffigura l'anziano filosofo greco, calvo e barbuto, abbandonato su un trono dallo schienale alto e semicircolare. Il corpo avvolto in un drappo fino al torace che lascia scoperti i piedi.

L'opera si inserisce perfettamente nella produzione artistica dello scultore russo, nato a Vilna nel 1843 e morto ad Amburgo nel 1902, che si dedicò alla ritrattistica ed ai soggetti storici. Sua è ad esempio la statua di Pietro il Grande, conservata all'Ermitage di San Pietroburgo e quella di Ivan il terribile che si trova attualmente al Kensington Museum di Londra. Si tratta in generale di opere che personificano gli ideali umanisti della Bontà e della Giustizia, ispirate alla corrente del realismo russo.

Il Socrate del Parco Civico di Lugano è una scultura molto cara alla comunità ticinese anche se in realtà rappresenta una copia dell'originale, attualmente conservata al Museo di Stato Russo di San Pietroburgo. Divenuto molto celebre dopo aver ottenuto una medaglia d'oro all'Esposizione Universale di Parigi nel 1878, Antokolski realizzò infatti alcune repliche delle opere che avevano riscontrato maggiore successo, per rispondere in primo luogo alla domanda dei collezionisti e successivamente dei maggiori musei internazionali. L'esecuzione di queste repliche era facilitata dall'esistenza di un calco in gesso preso sulle sculture in marmo originali, che permise la riproduzione piuttosto fedele delle opere.

In origine l'opera luganese del Socrate morente era di proprietà della famiglia Maraini ed era situata nella loro suggestiva Villa di Massagno; la scultrice milanese Adelaide Maraini-Pandiani (1836-1917), figlia dello scultore Giovanni Pandiani e moglie dell'ingegnere luganese Clemente Maraini (1838-1905), alla sua morte lasciò la scultura di Antokolski, insieme a propri busti e bassorilievi scultorei (fra cui quello di Carlo Cattaneo) alla Città di Lugano quale testimonianza del suo profondo legame.

Fu il marito Clemente nell'aprile del 1917 a donare alla Città di Lugano la statua del Socrate morente secondo le disposizioni date da sua moglie Adelaide appena deceduta. Nel documento di donazione la statua era definita "originale in marmo" e solo successivamente emerse da alcuni studi che doveva in realtà trattarsi di una copia realizzata dallo stesso scultore russo.

La copia luganese, dopo la donazione della famiglia Maraini, fu situata presso la darsena del Parco Civico e lì vi è rimasta fino a quando nel 1998 il Municipio ha risolto di togliere la scultura dalla sua sede originale a causa dei vandalismi cui era costantemente sottoposta.
Nel 2002 l'opera molto danneggiata fu restaurata. Nacque in quel frangente una discussione sulla necessità di conservare la scultura in marmo in una zona protetta, preferibilmente all'interno, e sostituirla con una copia da collocare all'esterno. Le varie opzioni che si presentarono furono le seguenti: realizzare una copia in marmo di Carrara, in marmo artificiale oppure in vetroresina.
Se la copia in marmo di Carrara avrebbe avuto il pregio del materiale, sarebbe stata un'opera senza storia, o meglio senza patina e si sarebbe presentata in maniera un po' fredda. Ad ogni modo sarebbe stata esposta agli stessi agenti atmosferici corrosivi, avrebbe corso gli stessi rischi e avuto gli stessi costi di gestione dell'"originale". La copia in marmo artificiale, pur avendo il pregio di essere più aderente all'originale, essendo il frutto di un calco dal vero, avrebbe avuto gli stessi problemi di conservazione e di gestione del marmo statuario.
La scelta è caduta sulla copia in vetroresina. Questo materiale, più resistente agli agenti atmosferici inquinanti, consente una manutenzione più semplice e la sua lavorazione ha permesso di realizzare una copia aderente all'originale, poiché frutto di un calco dal vero.

A partire dal 26 gennaio 2007 una copia del Socrate morente di Mark Antokolski - il marmo sarà esposto fino al 15 aprile nella sala degli specchi di Villa Ciani - sarà nuovamente posizionata nella sua sede originale.

Per ulteriori informazioni rivolgersi a:
Sabina Bardelle, Ufficio Stampa, Dicastero Attività Culturali
Tel: +41 (0)58 866 7201   Fax: +41 (0)58 866 7497   Email: sbardelle@lugano.ch


Socrate
In lingua greca - (470 a.C. - 399 a.C.) - è stato un filosofo greco. È uno dei più importanti esponenti della tradizione filosofica occidentale.

Il contributo più importante al pensiero occidentale è il suo metodo d'indagine, conosciuto come elenchos, che applicò prevalentemente all'esame critico di concetti morali fondamentali. Per questo Socrate è riconosciuto come padre fondatore dell'etica o filosofia morale e della filosofia in generale.

È ben noto il fatto che Socrate non ha lasciato alcuno scritto. Il suo pensiero si ricava dalle opere dei discepoli, tra cui spicca soprattutto Platone e, di seguito, Senofonte. Un'altra testimonianza si trova nella commedia di Aristofane, Le nuvole. La mancanza di scritti di Socrate pone notevoli problemi alla possibilità di ricostruire il suo pensiero originale, in particolar modo risulta arduo distinguerlo da quello di Platone.

Breve Biografia
Socrate nacque ad Atene tra il 470 e il 469 a.C. Il padre, Sofronisco, era scultore, mentre la madre Fenarete era una levatrice. Di umili origini, fu tuttavia educato come i figli dell'alta società ateniese. Da soldato semplice fu presente nella Guerra del Peloponneso, segnalandosi per valore militare in diverse battaglie, tra cui a Potidea dove salvò la vita al giovane Alcibiade.
Nel 406-405 si dedica alla vita politica, entra nella Bulè, il Consiglio dei Cinquecento - corrispettivo del nostro parlamento - e viene eletto pritano, cioè membro della presidenza collegiale dello stesso Consiglio. Si sposò due volte, con Mirto e Santippe, di cui si tramanda una risaputa isteria.
Cacciati i Trenta Tiranni, vicini allo stesso Socrate, il filosofo fu vittima di una campagna persecutoria ad opera dei restauratori della democrazia ateniese. Accusato di voler divulgare una nuova religione e di corruzione della gioventù, (300 a.C.), venne condannato a morte tramite avvelenamento con la cicuta, sostanza usata per somministrare la pena capitale nell'antica Grecia.
Il pensiero Socratico

Socrate intendeva la filosofia come ricerca e dialogo sui problemi dell'uomo, come un'indagine in cui l'uomo facendosi problema a se medesimo, tenta, con la ragione di chiarire sé a se stesso, rintracciando il significato profondo del suo essere uomo. Per questo, Socrate fece suo il motto dell'oracolo delfico Conosci te stesso, vedendo in esso la motivazione ultima del filosofare e la missione stessa del filosofo.

1. Il non-sapere
Per Socrate la prima condizione della ricerca e del dialogo filosofico è la coscienza della propria ignoranza. Quando egli conobbe la risposta dell'oracolo di Delfi, che lo proclamava il più sapiente fra gli uomini, interpretò il responso divino come se esso avesse voluto dire che sapiente è soltanto chi sa di non sapere. Per comprendere questa celebre affermazione socratica - interpretata troppo spesso in modo astratto e generico - è indispensabile collegarla al clima sofistico e scomporla nei suoi vari significati. In essa vi è innanzitutto un'eco dell'agnosticismo metafisico di un Protagora o di un Gorgia ed una sottintesa polemica contro i filosofi della natura. Sostenere che vero sapiente è unicamente chi sa di non sapere è anche un modo polemico per dire che genuino filosofo è soltanto colui che ha compreso che intorno alle cause e alle strutture del Tutto non si può dire nulla con sicurezza. Questa importante rilevazione non equivale tuttavia ad una interpretazione di Socrate in chiave "scettica". Essa non esclude la possibilità di una ricerca sull'uomo, anzi la incoraggia, costituendosi come sua condizione preliminare, poiché solo chi sa di non sapere cerca di sapere, mentre chi crede di essere già in possesso della verità non sente l'impellente bisogno interiore di cercarla. La coscienza socratica del non-sapere non conduce ad un soffocamento della ricerca, in quanto essa, nelle sue valenze tipicamente socratiche, si configura piuttosto come un salubre monito o una fruttuosa scintilla, capace di accendere il grande dialogo interumano della filosofia.

2. L'ironia
Di conseguenza, nell'esame cui Socrate sottopone gli altri, coinvolgendo anche se stesso, la sua prima preoccupazione è di renderli consapevoli della loro ignoranza. A tale scopo egli si avvale dell'ironia (eironéia = dissimulazione). L'ironia socratica è il gioco di parole o il variopinto teatro di "finzioni" attraverso cui il filosofo, denudando le coscienze soddisfatte delle loro formule cristallizzate e delle loro pseudo-certezze, giunge a mostrare il sostanziale non-sapere in cui si trovano. L'ironia è dunque il metodo usato da Socrate per svelare all'uomo la sua ignoranza e per gettarlo nel dubbio e nell'inquietudine, impegnandolo nella ricerca. Facendo ironicamente finta di non sapere, Socrate chiede al suo interlocutore, per lo più illustre e celebrato "maestro" di qualche arte, di renderlo edotto circa il settore di cui egli è competente. Dopo una teatrale adulazione del sapere del personaggio, Socrate comincia a porgli innumerevoli di domande e ad avvolgerlo in una rete di quesiti. Come tale, l'ironia è una specie di "nobile sofistica", che tende alla purificazione e alla liberazione della mente dalle malfondate convinzioni del vivere quotidiano, e che funge da "torpedine marina" capace di scuotere l'uomo dal suo torpore intellettuale, comunicandogli il dubbio e la sete di convinzioni autentiche.

3. La maieutica
Tutto ciò non significa che Socrate, simile ad un saggio orientale, dopo aver fatto il vuoto nella mente del discepolo, si proponga di riempirla immediatamente con una sua verità; egli non vuole comunicare dall'esterno una propria dottrina, ma soltanto stimolare l'ascoltatore a ricercarne una sua propria dall'interno. Da ciò la celebre maieutica o arte di far partorire di cui parla Platone, dicendo che Socrate aveva ereditato da sua madre la professione di ostetrico. Come costei, essendo levatrice, aiutava le donne a partorire i bambini, così Socrate, ostetrico di anime, aiuta gli intelletti a partorire il loro genuino punto di vista sulle cose.

Nel metodo del Socrate ironico e maieutico, da cui scaturisce il concetto della verità come conquista personale e della filosofia come avventura della mente di ciascuno, si è anche visto uno dei principi fondamentali della pedagogia: la vera educazione è sempre auto-educazione, ossia un processo in cui il discepolo, grazie all'opera del maestro, viene aiutato a maturare autonomamente dal proprio interno.


La morte di Socrate
1. L'accusa

Socrate visse durante un periodo di transizione, dall'apice del potere di Atene fino alla sua sconfitta per mano di Sparta e alla sua coalizione nella guerra del Peloponneso. Nel momento in cui Atene cercava di riprendersi dalla sua umiliante sconfitta, su istigazione di alcune prominenti figure del tempo, il tribunale degli ateniesi processò Socrate per empietà e corruzione dei giovani e lo condannò a morte, ordinandogli di bere la cicuta.
L'influenza di Socrate si era già esercitata in Atene su di un'intera generazione, quando tre democratici oltranzisti - Meleto, Anito e Licone - lo denunciarono alla città. L'accusa scritta, su cui si svolse il processo, fu presentata da Meleto: "... questo ha sottoscritto e giurato Meleto di Meleto, Pitteo, contro Socrate di Sofronisco, Alopecense. Socrate è colpevole di non riconoscere come dèi quelli tradizionali della città, ma di introdurre divinità nuove; ed è anche colpevole di corrompere i giovani. Pena: la morte" (Diogene Laerzio, II, 5, 40).
Di fronte a questa imputazione, Socrate avrebbe potuto tentare di scagionarsi, oppure di lasciare Atene. Invece non volle. La sua difesa fu un'esaltazione del compito educativo che si era addossato nei confronti degli ateniesi. Egli dichiarò che in nessun caso avrebbe tralasciato questo compito, al quale era chiamato da un ordine divino. Con una piccola maggioranza, Socrate fu riconosciuto colpevole. Poteva allora andarsene in esilio o proporre una pena che fosse adeguata al verdetto. Invece, pur dicendosi disposto a pagare una multa di tremila dracme, dichiarò orgogliosamente che si sentiva meritevole di essere nutrito a spese pubbliche nel Pritanèo come si faceva coi benemeriti della città. Ne seguì allora, a più forte maggioranza, la condanna a morte che era stata chiesta dagli accusatori.

2. Le cause storiche e politiche del processo
Qualche studioso ha paradossalmente affermato che la cosa più importante della vita di Socrate fu la sua morte. Al di là della battuta, c'è qualcosa di vero in questa tesi, in quanto il mito-Socrate, nelle varie epoche, deve molto all'uccisione del filosofo.

Ma per lungo tempo la morte di Socrate è apparsa poco chiara. In realtà sappiamo oggi che il processo e la morte del filosofo non sono per nulla "indecifrabili", in quanto si collocano in un ben preciso contesto storico-politico della Grecia antica. Dopo la sconfitta subita nella guerra del Peloponneso, ad Atene si affermò, nel 404 a.C., il regime oligarchico e filo-spartano dei Trenta Tiranni, capeggiato da Crizia. Sembra che Socrate non si compromettesse con il governo, nonostante la sua opposizione a talune scelte extra-legali del nuovo corso politico. II regime oligarchico fu rovesciato dalla reazione popolare, e fu proprio la restaurata democrazia che volle, nel 399 a.C., il processo del filosofo.

L'accusa ufficiale che il nuovo governo rivolgeva a Socrate - quello di corrompere i giovani insegnando dottrine contrarie alla religione di Stato - va posta in relazione alla fisionomia conservatrice assunta dalla rinata democrazia. Dopo la sconfitta subita ad opera degli spartani, Atene, pur recuperando, dopo i Trenta Tiranni, le istituzioni assembleari, guardava al passato glorioso come ad un patrimonio da conservare e perciò tendeva a chiudersi alle novità rivoluzionarie di ogni tipo, facendo inoltre dell'antica religione un baluardo di coesione sociale e ideale. Di conseguenza, un uomo come Socrate, indipendente in fatto di religione e "spregiudicato" in filosofia, poteva apparire un elemento politicamente pericoloso, esattamente come era sembrato ad Aristofane (e ciò spiega la paradossale convergenza fra la rampogna "di destra", mossa da Aristofane, con quella "di sinistra" mossa da Policrate). Tuttavia, gli studiosi attuali tendono a considerare l'accusa ufficiale come un pretesto giuridico dietro cui si celava un più remoto motivo di ostilità dei democratici verso il filosofo. Infatti sembra in primo luogo che Socrate fosse fautore di un aristocraticismo politico antitetico all'ideologia democratica teorizzata da Protagora, e concepisse il governo come arte e competenza, da affidare a poche persone solidamente preparate in materia. Per cui, pare che egli criticasse aspramente talune procedure politiche della costituzione democratica, soprattutto quelle che riconoscevano il diritto di accedere alle cariche pubbliche per sorteggio o per elezione popolare. In secondo luogo, come si è visto, Socrate era inequivocabilmente legato da rapporti di amicizia con taluni esponenti di quella gioventù ultra-aristocratica di Atene che aveva ordito il colpo di stato dei Trenta Tiranni.

3. Significati filosofici e ideali
A parte questi retroscena del processo, che nel loro insieme forniscono un quadro sufficientemente verosimile del perché politico dell'accusa a Socrate, la morte del filosofo, costretto a bere la velenosa cicuta, riveste pure un alto significato ideale ed esistenziale, poiché testimonia la piena fedeltà di Socrate a se stesso e ai suoi principi teorici. Platone, nei suoi Dialoghi, ha magistralmente "sceneggiato" questo aspetto, presentando Socrate come un uomo che avendo insegnato la giustizia e il rispetto delle leggi per tutta la vita, non poteva, con una fuga, essere ingiusto verso le leggi di Atene e smentire così, nel momento decisivo, tutta la sua opera di maestro. Ora tale lealismo di Socrate verso la Città e le leggi affonda le sue radici nel pensiero del filosofo, che, analogamente a Protagora, ritiene che l'uomo sia tale solo in quanto rapporto e società, ossia che l'uomo emerga dall'animalità primitiva e si autocostituisca come tale solo in un contesto comunitario retto da leggi. Da questo punto di vista, dire che l'uomo è società equivale a dire che l'uomo è tale in quanto legge, o meglio, in quanto "figlio" delle leggi. Per cui, chi rifiuta le leggi del proprio Stato, o della propria civiltà, cessa di essere uomo, a meno che non accetti le leggi di un altro Stato. Le leggi si possono cambiare e migliorare, ma non violare, poiché altrimenti verrebbe meno la vita in società. Questa tesi fondamentale di Socrate, che farà dire a Platone che il suo maestro, pur non essendo un politico, è stato l'unico vero politico di Atene, ci permette di capire perché egli abbia scelto la condanna al posto della fuga "preferendo morire, rimanendo fedele alle leggi, anziché vivere violandole" (Senofonte).

Ma questa morte, al di là del caso specifico di Socrate e del significato ideale che egli le diede manifesta anche il tragico soccombere dell'intellettuale nei confronti del potere organizzato delle forze politiche. Per questo motivo, Socrate è apparso il primo martire del pensiero occidentale e della sua esigenza di porsi come libera ricerca, e il suo nome, attraverso i tempi, è divenuto un esplicito atto di condanna delle prepotenze dei politici, ed un appello alla salvaguardia dell'autonomia del filosofo e dell'intellettuale in genere nei confronti del potere.


Le Biografie
Lo scultore:
Mark Antokolski (1843-1902)

Mark Matwejewitsch Antokolski, nato a Vilnius in lituania il 21 ottobre 1843 in una famiglia ebrea di umili origini, apprende da prima ad intagliare il legno dimostrando interessanti doti artistiche. Entra nel 1863 all'Accademia di San Pietroburgo come uditore e nel 1865 vi è ammesso in qualità di studente.

Nel 1868 soggiorna brevemente a Berlino per motivi di studio per poi far ritorno a San Pietroburgo dove realizza la celebre statua Ivan il terribile che gli vale il titolo di Membro dell'Accademia delle Arti di Russia su espressa richiesta dello zar Alessandro II. Successivamente alla sua nomina a professore, alcuni problemi di salute lo costringono a trasferirsi a Roma dove realizzerà la colossale statua di Pietro il Grande (1872) e progetterà altri importanti opere artistiche.

Nel 1875 Antokolski fa ritorno a San Pietroburgo e una volta stabilitosi realizza in rapida successione il Socrate morente (1876), L'ultimo sospiro (1877) e Il capo di Giovanni Battista (1878). Nello stesso anno lo scultore russo esibisce la maggior parte delle sue opere all'Esposizione Universale di Parigi ottenendo il massimo riconoscimento; una giuria composta di artisti delegati da ogni nazione gli conferiscono la medaglia d'oro. L'importanza artistica di Antokolski in Europa è universalmente riconosciuta proprio in virtù del premio ottenuto all'esposizione parigina.

Nel 1880 viene insignito del titolo di maestro scultore dal governatore francese e decide di stabilirsi definitivamente a Parigi, dove realizza alcune delle migliori prove del suo talento, tra cui Spinosa (1881), Mephisto (1884), Yaroslav il saggio (1889).

Proprio in questi anni, a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute, decide di trascorrere una parte considerevole del suo tempo sulle sponde del Lago Maggiore anche se non smetterà di produrre le proprie opere d'arte nella capitale francese. Muore ad Amburgo nel 1902.

La donatrice della scultura:
Adelaide Maraini Pandiani (1836-1917)

Figlia di Giovanni Pandiani e di Marianna De Gasperis, Adelaide Maraini-Pandiani è un caso singolare nel panorama artistico ticinese della seconda metà dell'Ottocento. Nata in una famiglia milanese di scultori (oltre al padre Giovanni, morto nel 1879, erano attivi in questo settore gli zii Innocente, scultore ornatista, Agostino e il figlio di questi Costantino), Adelaide Maraini-Pandiani, dopo un apprendistato nello studio paterno, frequenta probabilmente alcuni corsi presso l'Accademia di Brera a Milano.

Nel 1862 sposa l'ingegnere e industriale ticinese Clemente Maraini, da cui ha due figli: Clemente, nel 1864, e Adelaide, nel 1868. Con il marito, vicino alla sinistra radicale, si trasferisce a Roma, dove anima uno dei più vivaci salotti culturali della capitale italiana, frequentato, tra gli altri, dallo scrittore Carlo Dossi. Da Roma la scultrice non si allontana più, anche se sono frequenti, specialmente durante il periodo estivo, i soggiorni nella splendida villa in "stile pompeiano" di Lugano. Dagli scarni dati biografici noti risulta che la scultrice fu particolarmente attiva tra il 1870 e il 1900, periodo al quale risale la maggior parte delle sue partecipazioni ad esposizioni: si ricorda, in particolare, la sua presenza all'Esposizione Universale di Parigi del 1878, con la prima versione dell'opera Saffo, che destò grande entusiasmo per la sua peculiare bellezza.
Partecipa anche alle esposizioni braidensi del 1881 e del 1891, alle due manifestazioni luganesi del 1891 (Esposizione artistica svizzera) e del 1913 (Prima esposizione di Belle Arti della Svizzera italiana) e infine alle esposizioni nazionali svizzere del 1894 e del 1896. È probabile che dopo la morte del marito, avvenuta nel 1905, la sua attività artistica si sia progressivamente ridotta.
Adelaide Maraini-Pandiani muore a Roma il 23 marzo 1917.

Nell'atrio del Palazzo Civico della Città di Lugano vi è la sua notevole e grande statua in marmo La sposa dei cantici, in cui alla perizia tecnica si associa mirabilmente la grazia e la personale sensibilità della scultrice.

Il relatore della conferenza "Il messaggio di Socrate: l'uomo, le leggi, la ragione":
Michele Lenoci

Michele Lenoci è vice Direttore dell'Istituto di Filosofia applicata di Lugano. Professore ordinario di Storia della filosofia contemporanea presso l'Università Cattolica di Milano, nella Facoltà di Scienze della formazione, nella quale insegna anche Ontologia e metafisica, dopo aver insegnato Filosofia teoretica. Dall'anno accademico 2002-2003 è anche Preside della medesima Facoltà di Scienze della formazione.
È responsabile della Sezione milanese del Centro di Bioetica dell'Università Cattolica ed è stato anche coordinatore del Dottorato di ricerca in Bioetica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica di Roma. È membro della "Brentano-Gesellschaft"; fa parte del Comitato scientifico della "Rivista di Filosofia neo-scolastica" e di "Brentano-Studien", nonché del Comitato di Direzione della rivista "Medicina e Morale"; è componente della Direzione di "Verifiche" e del Comitato scientifico della Collana di Filosofia morale della Casa Editrice Vita e Pensiero; è condirettore della Collana "Filosofia e sapere storico" dell'Editore Guida di Napoli. È stato vice presidente della Consulta nazionale di Filosofia.
Michele Lenoci si è laureato in Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove è stato allievo di Sofia Vanni Rovighi e di Adriano Bausola.
Oltre agli incarichi attuali, ha insegnato anche all'Università di Lecce. Ha partecipato a convegni ed ha tenuto corsi di lezioni presso le Università di Graz, Würzburg, Dallas, oltre che in diversi Atenei italiani. Ha svolto lezioni sulla teoria della giustizia nei Corsi di formazione manageriale per dirigenti sanitari, organizzati dall'IreF della regione Lombardia. Si è occupato, fra l'altro, del pensiero austriaco e tedesco tra Otto e Novecento, con particolare attenzione alla scuola di Brentano, al pensiero di Meinong (La teoria della conoscenza in Alexius Meinong. Oggetto, giudizio, assunzioni) e alle origini della fenomenologia husserliana, studiando soprattutto le tematiche della critica allo psicologismo e dell'intenzionalità (Pensiero, linguaggio, verità. La riflessione husserliana sino alle "Ricerche logiche").

Ha approfondito anche il personalismo scheleriano e le sue applicazioni, nonché i rapporti tra fenomenologia e filosofia dell'esistenza (Autocoscienza, valori, storicità. Studi su Meinong, Scheler, Heidegger). Si interessa alle tematiche ontologiche nella filosofia di indirizzo analitico. Sulla linea delle riflessioni di antropologia, ha considerato anche alcune fondamentali questioni di bioetica, sia sul piano delle fondazioni teoriche, sia su quello di taluni temi specifici, come il problema delle allocazioni delle risorse in sanità o quello della bioetica di fine vita.

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updated 03.02.23