Khaled Hosseini
Il cacciatore di aquiloni
“Guardai verso oriente e mi sorpresi a pensare che, al di là di quelle
montagne, Kabul esisteva veramente e non era solo un mio antico ricordo.
Oltre quelle montagne dormiva la città dove avevo lanciato gli aquiloni con
il mio fratellastro dal labbro leporino. Al di là di quelle montagne l’uomo
con gli occhi bendati che avevo visto in sogno era morto di una morte
insensata. Un tempo, laggiù avevo fatto una scelta. E ora, dopo un quarto di
secolo, quella scelta mi aveva riportato qui, nella mia terra.”
Khaled Hosseini tesse una storia indimenticabile, commovente e
straordinaria. Il suo primo romanzo è un manufatto dalla trama preziosa: un
canto poetico di padri e figli, di amicizia e tradimento, di abissali
capitolazioni e redenzioni coraggiose e sofferte. Di fughe e ritorni, fino
al riscatto finale, toccante e inaspettato. Sullo sfondo l’annientamento di
un mondo, l’Afghanistan, che assiste impotente alla dissoluzione di un
retaggio culturale millenario e al crollo di ogni certezza e che nulla può
contro l’incedere della Storia, incarnata dai Sovietici prima e dai Talebani
in un secondo tempo.
Con la stessa minuziosa cura con cui Amir e Hassan bambini si preparavano
all’evento più importante per i ragazzi di Kabul, la gara degli aquiloni,
l’autore ritrae il mondo della sua infanzia. Con tocco vellutato preme i
tasti della memoria per far rivivere il calore di quella realtà sicura e
ospitale, dall’odore inebriante e inconfondibile della terra bruciata
d’estate e dell’aria frizzante dell’inverno mista al sapore rassicurante del
the. Con la stessa passione Hosseini costruisce un ponte di vetro attraverso
cui poter accedere un’ultima volta a quell’epoca lontana, spensierata e
pulsante di vita, a quella natura meravigliosa e sconvolgente, armoniosa
cornice dei momenti indimenticabili trascorsi col padre e gli amici in
quella sua amata patria che non esiste più.
E la memoria, ferita, restituisce queste immagini intrise di nostalgia e
della struggente consapevolezza che da quella stessa realtà, che una volta
era patria ed era casa, traspira oggi soltanto il rancido odore del sangue e
della morte.
Lo sguardo dell’autore è un caleidoscopio pieno di frammenti che ci portano
dagli Stati Uniti all’Afghanistan e viceversa, in un intreccio travolgente
di passioni nel quale passato e presente si confondono, seguendo il flusso
prorompente dei ricordi, di sensazioni assopite ma mai dimenticate, di vuoti
che chiedono di essere riempiti. Il viaggio che Amir intraprende verso la
sua patria è prima di tutto un viaggio in se stesso, per confrontarsi e
riscattarsi da quell’antica e dolorosa colpa, un blocco di ghiaccio represso
dentro di lui, ma che non ha mai smesso di soffiare aria gelida sulla sua
pelle. Un peso che Amir ha sopportato in solitudine nel suo esilio
americano, intrappolato nel suo stesso dolore. Al richiamo del suo passato
però l’adulto Amir si fa trovare pronto.
I contorni del mondo esterno si affievoliscono. La tragedia dell’Afghanistan
si materializza in un sottofondo di voci stridenti e feroci apparizioni,
mentre sulla scena si dispiega il mondo interiore di Amir e degli altri
personaggi che incontra. Un vortice di emozioni scaturisce dagli abissi
delle loro anime dando vita a una danza multiforme e incantata di vividi
colori. Una danza a tratti armoniosa e poetica come il volo colorato degli
aquiloni sul cielo terso di una Kabul ormai svanita. Una danza, in altri
momenti, tinta dai colori violenti della crudeltà e dell’indifferenza umana
e dalle sordide sfumature del dolore e della vergogna.
Lo sgomento di Amir di fronte al suo passato, la sua ansia di colmare una
vita piena di assenze avvolgono il lettore e lo coinvolgono in un viaggio
introspettivo alla scoperta dei lati oscuri della propria coscienza. Un
confronto aperto e coraggioso con debolezze e paure, con rimorsi e
pentimenti che inconsapevolmente o meno l’uomo tende a nascondere nelle
pieghe dell’anima. E l’anima di Amir, intrecciata a colori e profumi di
mondi diversi e di culture antiche e quasi sconosciute all’occidente,
diviene ricettacolo di una dimensione intima e personale che si rivela
comune a tutti e dunque di portata universale.
Il cerchio tracciato da Hosseini si chiude, inaspettatamente, in una Fremont
tinta dai colori, dai suoni e dagli odori dell’Afghanistan ai tempi di Zahir
Shah. In occasione dei festeggiamenti per l’anno nuovo afgano, in primavera,
gli aquiloni tornano a rivestire il cielo, degli Stati Uniti questa volta,
della loro colorata melodia. Il cuore di Amir palpita mentre nell’atto
stesso di stringere di nuovo fra le mani un aquilone si riappropria del suo
passato. Una frase che risuona in lui da tempo immemorabile affiora alle sue
labbra e acquista finalmente consistenza, liberandolo da un antico e
doloroso fardello. E il piccolo Sohrab, accanto lui, si lascia incantare
dalla magia multicolore del cielo, mentre una luce nuova attraversa i suoi
occhi tristi. Il volo poetico degli aquiloni è un abbraccio alla vita: il
cerchio del riscatto si realizza nelle parole inconsapevoli di Amir e nella
scintilla silenziosa che illumina gli occhi di Sohrab.
|
Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini
Titolo originale: The Kite Runner
Traduzione di Isabella Vaj
394 pag., Euro 17,50 – Edizioni Piemme
ISBN: 88-384- 8172-5
Khaled Hosseini.
Figlio di un diplomatico, è nato a Kabul, in Afghanistan.
La sua famiglia ha ottenuto l’asilo politico negli Stati Uniti nel 1980.
Vive nel nord della California e fa il medico. Il cacciatore di aquiloni è
il primo romanzo epico afgano, uno straordinario caso letterario pubblicato
in 12 paesi. Dreamworks, la casa di produzione di Steven Spielberg, ha
acquistato i diritti per trarne un film. |
|