Battista Delorenzi

All'inizio c'era una scala che con i suoi gradini di granito permetteva l'accesso alle camere da letto situate ai piani superiori. All'inizio c'era anche una donna contadina, Elvezia. In quei tempi antichi racchiusi nel mito, sul tardi di una fredda giornata invernale, tornava Elvezia dalla campagna. Era gravida del sesto figlio. Era gravida e stanca e la gerla le pesava più del solito quel giorno; quella gerla che le donne di allora si toglievano solo per andare a dormire o per fare la comunione in chiesa nei giorni di festa, quella gerla dove c'era sempre qualcosa da portare in giro e che alla fine faceva parte del corpo stesso di quelle poveracce strepenate da vite e fatiche e malasorte. All'inizio c'era la scala, c'era la donna e c'erano le gambe della donna che non ce la fecero ad andare oltre il primo gradino. Ed è sul granito di quel gradino, materia primordiale formatasi all'inizio del Mondo, che Battista Delorenzi nacque il 16 gennaio 1921 a Miglieglia, un paesino della campagna luganese. Dal camino il fuoco mandava un tepore che appena rompeva il freddo e la luce della lanterna disegnava strani personaggi proiettando le ombre sul soffitto. Dopo che ebbe lanciato il primo vagito, Battista fu avvolto dentro la giacca del padre, un uomo semplice le cui mani racchiudevano tutta la sapienza che generazioni di anonimi scalpellini si erano tramandati dalle piramidi d'Egitto alle cattedrali gotiche, dai menhir a qualche mensoletta gentile che si può trovare in una qualunque casupola rurale senza troppe pretese.
La scala era di granito, materia prima e nobile di cui il bambino Battista imparò a conoscere l'anima. Lo scultore Battista come materia scelse poi il legno, un albero tagliato, materia che va fermata nel suo processo di decomposizione, materia che va eternizzata valorizzando le forme che già contiene, materia che, con le sue venature, è più facile accostare al movimento e ai gesti di quelle figure che la lampada a olio proiettava sulle pareti e sul soffitto quel giorno che venne al mondo; quel misterioso muoversi e stare fermo di quelle figure sarà per sempre il substrato inconscio del mondo immaginativo e artistico del Battista.
A volte le forme nascono dalla venatura, a volte invece è la venatura a fare da vestito, spesso trasparente, a forme che potrebbero essere sospettate come troppo provocanti e intime; in altri casi sono i volumi, gli equilibri tra volumi e tra vuoti e volumi a farla da padrone… Già, perché nel Battista Delorenzi è difficile scoprire una scuola, affibbiare un'etichetta.
Per quelli che come lui nascono ai piedi di una scala non ci sono scuole o accademie, ma solo l'umiltà di imparare guardando in tutte le direzioni, senza pregiudizi; non c'è l'ambizione e la capacità (cromosomica direi) di arrivare in cima alla notorietà, ma la consapevolezza di esprimere qualcosa di buono attraverso una manualità che generazioni di anonimi artigiani hanno sempre espresso; non c'è il genio che avanza urlando che vuol esistere per essere mercificato, ma la modestia di voler esprimere con tutto il genio di cui si è capaci qualcosa di molto intimo, bello e importante.
Battista Delorenzi ha fatto delle mostre, ha anche venduto. Poco per la verità. Tra lui e il successo c'è sempre stato di mezzo una scala e gambe troppo indebolite dalla povertà e dall'emarginazione culturale dal bel mondo. Ma forse qualche sua statua potrebbe diventare famosa un giorno, in un qualche museo. Quel giorno di sicuro il nome dell'artista sarà andato perso. Sarà una statua importante di artista anonimo; come per tutta l'Arte Sacra in genere, d'altronde.
A te visitatore il compito di guardare e scoprire se tutta l'opera del Batttista Delorenzi potrebbe diventare un giorno una favola, una di quelle a lieto fine.
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